Il commissario Rimoldi e la Torino vecchia

L’appuntato Tedeschi seguì le indicazioni del commissario Rimoldi e diresse la macchina di ordinanza verso la zona vecchia di Torino. Attraversarono il centro senza accendere la sirena e lasciando che fosse il traffico della mattina a dare il ritmo.
Giunti a destinazione Rimoldi chiese al suo autista di parcheggiare e di aspettarlo in macchina. Le chiavi nel cruscotto per sicurezza. Scese e si alzò il bavero dell’impermeabile perché l’aria in quella zona ancora non toccata dal sole era fredda.
Diede una rapida scorsa intorno a sé. L’esterno delle case era eroso dal tempo e avrebbe avuto bisogno di un intervento robusto. I bar etnici erano aperti con i tavolini esterni ancora vuoti. Persone di varie razze camminavano con i sacchetti di plastica pieni della spesa fatta a Porta Palazzo. Non era la sua zona e lo sentiva. Ogni volta che passava da lì sentiva qualcosa nelle sue viscere, come un senso di allarme che iniziava a svegliarsi.
Prese la strada di ciottoli alla sua sinistra e si diresse verso la costruzione gialla già gremita di persone in attesa di ricevere aiuto. Era il centro sociale che distribuiva indumenti e cibo a coloro che ne facevano richiesta. Un’opera di volontariato tra le tante che la città offriva, ormai votata alla ricerca di quella Ideale integrazione razziale che con fatica veniva portata avanti dalle varie amministrazioni comunali.
Sapeva che il suo informatore era lì in giro. Il suo nome in codice era “il gufo”. Si avvicinò all’edificio sentendo i primi sguardi interrogativi che lo colpivano come piccole frecce. Continuò a camminare senza dare peso alle persone che voltavano il viso da un’altra parte. Non era lì per una retata, ma per avere informazioni.
Infine lo vide, seduto sul gradino di una casa adiacente. Come se lo sentisse, il gufo alzò lo sguardo e lo fissò interrogativo. Rimoldi notò che sul viso c’era un segno violaceo sotto lo zigomo sinistro. Di sicuro il ricordo di una lite al bar o per strada. I capelli grigi del gufo erano raccolti in una coda che poggiava sulla spalla destra. Era magro e alto. Il suo viso, a parte il livido non dava modo di capirne l’età.
Il gufo si alzò e si allontanò a passi lenti, seguito dal commissario. Lo attese in una stretta strada chiusa dopo aver girato attorno alle case. Rimoldi gli si mise davanti con le mani nelle tasche dell’impermeabile.
“Facciamo in fretta, commissario. Cosa vuole sapere?”
“La donna che hanno trovato morta due giorni fa sotto il ponte dei Murazzi.”
“Non so nulla.”
“Non ne parla nessuno?”
“Per ora no.”
Rimoldi prese una pausa. Guardò il cielo senza nuvole chiuso tra due tetti spioventi.
“Se senti qualcosa fammi sapere. Usa il solito canale.”
Il gufo annuì con la testa.
“Ah, e come ti sei fatto quel livido?”
“Una lunga storia, commissario.”
“Stai lontano dai guai… e dalle donne, ok?”
“Me lo ricorderò.”
Senza salutare Rimoldi si allontanò. Il gufo avrebbe aspettato ad uscire da quel vicolo fino a quando Rimoldi non fosse andato via.
Il commissario ritornò alla macchina, passando in mezzo al gruppo di persone in coda che si era fatto più numeroso. La sensazione di essere un corpo estraneo in quel luogo la sentiva come se fosse una pellicola che si fosse depositata sulla sua pelle.
Salì a bordo e disse a Tedeschi di portarlo in questura. Aveva bisogno di riflettere sul caso e aveva una gran voglia di sentire Ornella

indolenza pura

ma quanto è bello dormire?
lasciare che il sonno arrivi mentre sei sdraiato sul sofà.
i rumori che arrivano dalla strada sono la risacca del mare
il ronzio del frigo è come il rumore degli insetti
il gocciolio sommesso del rubinetto in cucina da il tempo
allunghi le gambe a cercare la copertina che hai messo perchè non si sa mai che ti venga freddo.
il film che hai messo su è banale e non ti attira più di tanto. anzi, diventa solo rumore di fondo.
le palpebre si chiudono come saracinesche senza fare rumore. sollevare è no sforzo e le lasci ricadere piano.
il calore del tuo corpo comincia a salire dall’interno verso l’esterno.
appoggi la schiena nell’incavo tra cuscini e alzata e li ti accartocci.

quando ti svegli ti accorgi che il film è finito e lo schermo del computer è nero.
fuori è calato il silenzio e il bar ha chiuso.
c’è un ultimo sforzo da compiere: alzarsi e mettersi nel letto.
il dubbio ti assale: lo faccio oppure no? rimango sul sofà o mi lascio cadere sul materasso?
aspetto ancora un po’ e poi deciderò